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"𝐎𝐫𝐠𝐨𝐠𝐥𝐢𝐨 𝐢𝐮𝐬 𝐬𝐜𝐡𝐨𝐥𝐚𝐞"

Cari soci e amici, credendo di fare cosa gradita vi proponiamo questo articolo pubblicato su "Il Letimbro" numero 9 del mese di ottobre 2024, scritto da Luca Patriarca, Caritas di Savona e amico di codesta associazione. Buona lettura.

“Non è giusto considerare estraneo chi respira l'italianità da quando era bambino”

E se lo ius scholae fosse una questione di sano patriottismo? Se provassimo ad essere orgogliosi di un Paese, l’Italia, che dimostra, di essere inclusivo, accogliente, capace di formare giovani diplomati, ingegneri, medici, psicologi, giuristi. Parliamo di ragazzi e ragazze che nei loro Paesi d’origine non avrebbero avuto possibilità di coltivare capacità, talenti, sogni perché soffocati da guerre, povertà, istruzione inadeguata, dittature da cui fuggire. Oggi, costoro, potrebbero dar lustro alla loro e, perché no, anche alla nostra Patria! Creiamo intelligenza made in Italy, ma ne disconosciamo la ‘paternità’.

Non si chiameranno Mario, o Maria Rossi, ma parlano la nostra lingua, condividono i nostri valori, studiano nelle nostre scuole, nelle nostre Università, fanno sport con i nostri figli. Eppur lo ius scholae agita i sonni dei soliti noti, i quali, quando si tratta di diritti e immigrazione, alzano le barricate a difesa dei confini e degli italici valori. Suvvia rilassatevi, lo ius scholae è tutt’altro che una rivoluzione di facinorosi che brandiscono cittadinanze come clave. Non è un “facciamoli entrare tutti”, perché questi giovani l’uscio del suolo patrio già l’hanno varcato in tenera età o in Italia hanno visto i propri natali.

Lo ius scholae, per dirla con i giuristi, è null’altro che un mero atto ricognitivo che vuol conferire forma a quel che già è sostanza, è cucire il tricolore al petto di chi lo ha già nel cuore, nel modo di vivere e di pensare. L’Italia ha in grembo una piccola enclave di giovani generazioni di italiani di fatto, confinati in una sorta di zona extraterritoriale, un corpo che ci ostiniamo a considerare estraneo, ma che estraneo non è. La ius scholae, lo ribadiamo, non è dispensar lo status civitatis a chiunque, ma a ragazzi e ragazze cresciuti a pizza, spaghetti e parmigiano, che respirano italianità fin da giovanissimi, che la mattina si seggono sui banchi delle nostre scuole, studiano la storia d’Italia, vivono in un Paese che li ha cresciuti come “cittadini italiani’ conferendo loro professionalità, diplomi ed allori.

Questa è una realtà, un fatto, che viviamo ormai da lustri nel nostro Paese. Tutti abbiamo negli occhi i podi olimpici che sono la rappresentazione fisica del nuovo look delle società contemporanee. Alzi la mano chi non s’è impegnato a cercare le bandierine cucite sui petti medagliati degli atleti per identificarne la cittadinanza. Il genere umano nasce gambe in spalla e vive un movimento perpetuo, emigra e immigra da sempre fin dai primi passi. A fondar le nazioni non sono i corpi, non sono affatto i tratti somatici, non sono i colori della pelle, ma è il linguaggio, la cultura, la condivisione di valori, d’usi e costumi, che si radicano in una comunità di uomini e donne che li condivide in un momento storico e in un determinato territorio. Sono questi gli elementi che forgiano un popolo e una nazione.

Lo ius scholae è accogliere nella Nazione coloro i quali già la vivono costruendola insieme all’intera comunità. Poco importa di che colore siamo o dove abbiano emesso i primi vagiti. È giunto il tempo di riconoscere che questi ragazzi possono essere ‘prodotti’ del nostro miglior made in Italy! Ma lo ius scholae non deve essere letto univocamente come il conferire una medaglia al merito di questi giovani, ma anche al merito della Repubblica. Sissignori! Un do ut des! Così dovrebbe esser spiegato agli indecisi e a chi è contrario per partito preso. Io, Repubblica italiana, metto a disposizione la democrazia, le istituzioni scolastiche e tutto quello che oggi fa dell’Italia, nonostante tutto e tutti, un Paese moderno che sa essere accogliente; tu metti a disposizione della Repubblica il tuo sapere, le tue capacità, i tuoi talenti impegnandoti a condividere i valori sanciti dalla Costituzione più bella del mondo. Il che non significa, e non deve significare, rinnegare le proprie origini. Se un giorno salirai sul podio, e non solo quello sportivo, quella medaglia sarà di tutti: la tua, della Repubblica e della comunità in cui sei cresciuto e che ti ha supportato. Lo ius schoale non sia concepito solo come una norma, un freddo atto amministrativo di concessione. Deve portar con sé un messaggio disintossicato dalla retorica, sanificato dai pregiudizi, raccontato come la condivisione d’un cammino, un percorso di comunione e di evoluzione culturale.

(Luca Patriarca)

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Bice, rappresentante donne Palestinesi  in Italia:
“Le donne palestinesi hanno un ruolo importante nella lotta contro la politica espansiva e le occupazioni di Israele, poiché presidiano e proteggono il “focolare” e quindi la loro terra.  Si tratta di un ruolo passivo, ma la negazione dei diritti di un popolo fa della conservazione della tradizione una delle forme più efficaci di coesione sociale  e  dà forza  alla resistenza contro l’oppressore. La cura dei bambini è affidata a loro, ma i maschi quando crescono fanno scelte autonome, che possono essere condivise, ma in cui le donne non hanno alcuna possibilità d’intervento.  Infatti la società palestinese è, come tutte le società, di tradizione patriarcale   e questi anni di lotta non hanno portato ad alcuna forma, se pur minima di emancipazione della donna, anzi hanno accentuato il loro ruolo subalterno, anche per la presenza sempre più invasiva del fondamentalismo islamico e il controllo di Hamas nella striscia di Gaza. Ne è un esempio la sempre maggior diffusione   dell’uso del velo rispetto al passato, soprattutto a Gaza.”

 

Parisa. giovane iraniana:
“Le donne iraniane,  anzi  le giovani e i  giovani iraniani  non fermeranno la loro protesta , anche se in questo momento essa  sembra attenuarsi,  in realtà assume altre forme. Non si fermerà perché la generazione di oggi è consapevole, attraverso i i media e i social come vivono i giovani altri Paesi, liberi di scegliere come vestirsi, cosa leggere, quale musica ascoltare, quali luoghi frequentare, liberi di incontrarsi, di studiare, di ballare, cantare, lavorare insieme femmine e maschi. Non vogliono più vivere in un regime dittatoriale e teocratico, dove è reato far intravvedere una ciocca di capelli che sfugge dal velo e per questo venire punite con la morte; dove è reato manifestare pacificamente il dissenso e per questo essere imprigionati, torturati, violati, stuprati in nome della “volontà di dio”.  E in questi mesi, molti giovani uomini sono stati accanto alle donne a rivendicare i loro diritti e hanno pagato con il carcere, le torture, le violenze sessuali, con mesi di isolamento senza che le famiglie sapessero nulla di loro, con la pena di morte alcuni di  coloro che   sono  sfuggiti alle esecuzioni, dopo queste terribili esperienze, si sono suicidati. Anche il fratello di Parisa è stato arrestato e per settimane la famiglia ha temuto per la sua vita; per fortuna è stato poi liberato, ma i giorni in completo isolamento sono stati terribili: ha raccontato che cercava spasmodicamente una presenza di vita, la più insignificante – un moscerino, una zanzara – a cui rivolgere la parola per non impazzire.


Le famiglie temono per i loro figli, ma sono solidali con loro. Ricordano ancora l’epoca dello Scià durante la quale c’era la libertà di indossare il velo oppure no, la libertà di muoversi, di leggere, di ascoltare ogni tipo di musica, le scuole miste. Ricordano i movimenti di opposizione e di resistenza    che volevano rovesciare il regime monarchico per fondare una Repubblica democratica.  Ricordano che con la Rivoluzione del 1979 ha prevalso l’autorità religiosa degli Ayatollah e con la loro vittoria tutti gli altri oppositori sono stati perseguitati, incarcerati, condannati a morte. Ma la generazione che ha vissuto questo passaggio non accetta più tutto questo e così i loro figli e i nipoti.  La durezza della repressione ha prodotto, come nella dittatura staliniana, autodichiarazioni pubbliche di colpevolezza e di pentimento (inizialmente i “pentiti” presentavano evidenti segni di maltrattamenti che ne dimostravano la coercizione) e in queste ultime settimane le proteste sono meno clamorose, ma continuano e non solo nelle grandi città. Noi siamo convinte/i che il regime teocratico finirà e vinceranno i giovani.”

 

Maria, giovane ucraina in fuga dalla guerra:
“I milioni di Ucraini in fuga dalla guerra, per il 99% donne e bambini, desiderano ritornare nel loro Paese e lo faranno non appena sarà terminato il conflitto.  Gli uomini mobilitati non hanno potuto andarsene e quindi c’è il desiderio di ricongiungimento. Molti, soprattutto anziani, hanno preferito rimanere nelle loro case, rischiare anche la morte sotto i bombardamenti. I suoi stessi genitori non hanno voluto andarsene.  È necessario trovare le vie diplomatiche per far finire questo conflitto.

Yobana, donna peruviana  (da 19 anni in Italia., il suo legame con il Paese d’origine è sempre forte)
“Le politiche neoliberiste sono state la peggiore sciagura, causa delle enormi disuguaglianze che affliggono il Perù, così ricco di materie prime.   Il peggio è iniziato con Fuijmori, un giapponese che nulla aveva a che fare con il Perù, eletto presidente nel 1990 (per 10 anni). Durante i suoi mandati, complici gli Stati Uniti, sono stati stipulati contratti con le multinazionali per lo sfruttamento delle ricchezze del Perù con la conseguenza di affamare il popolo. Oggi il  colpo di stato, contro un  Presidente votato democraticamente , ha provocato  manifestazioni   soprattutto nella  regione di Puno più ricca di materie prime  (oro, litio …) , ma con la popolazione più povera.  che ha sostenuto Castillo.  Nella repressione sono morti anche donne e bambini.  Questa tragedia non ha avuto molto solidarietà internazionale, solo dopo settimane dall’inizio, la visita di alcuni deputati argentini ha prodotto la conoscenza e la solidarietà di alcuni Paesi sudamericani. “

 

Alla domanda “E se la guerra fosse donna?”

- Le donne sono abituate da sempre nella loro quotidianità ad affrontare conflitti, contrasti, punti di vista diversi …e quindi, forse, se avessero il potere, troverebbero strade diverse da quelle che richiedono le armi e quindi la guerra.   
- La prospettiva potrebbe essere quella di risolvere le controversie in modo pacifico, ma  per ora le donne al potere  esercitano il loro ruolo  secondo i canoni del maschilismo (es. Meloni  o anche Von der Leyen … )
- Dipende dal percorso e dalle esperienze che  le donne hanno fatto e condiviso con altre donne per i diritti e la dignità di tutte,    solo così si può arrivare a una prospettiva e a una visione della vita profondamente nuova dove la guerra non abbia più spazio e ragione di essere

 

Irma De Mattei, coordinatrice della consulta femminile di ANPI